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Affermando il concetto di segno, o d’insieme di segni, G_lifi è un titolo evocativo, sintetico e incisivo: ben si presta a simboleggiare l’istanza poetica e concettuale dei paesaggi fotografici dell’autore, che nel valicare il sottile e spesso impercettibile confine tra vero e visionarietà, riscrive la realtà nella costante ricerca dell’emergenza segnica; tanto da sconfinare, sempre e solo con il mezzo fotografico, nell’impatto d’immagini apparentemente ascrivibili all’universo del disegno e della pittura. Un universo che Galifi conserva da sempre nella mente e nello sguardo, dove i dipinti fiamminghi e la pittura tonale veneta tracciano il passo emozionale e sensoriale delle sue aperture paesaggistiche. Per via di colore, certo, ma ottenuto come summa di segni, che in alcuni casi ammicca al puntinismo e alla sgocciolatura, con riferimenti pittorici più vicini a noi. Un dato emozionale, questo, che si contrappone alla valenza progettuale del segno, a quella costante ricerca di Galifi in direzione di una ricostruzione del dato fenomenologico, in una sorta di riprogettazione del paesaggio naturale, a tratti punteggiato da scorci e dettagli di antropizzazione. Un paesaggio propriamente autoriale, nato da una ricerca costante, che ha condotto il fotografo a una puntuale consapevolezza del suo modo di porsi innanzi al mondo: con i piedi saldi a terra, di passo in passo nell’esplorazione della natura; e con la mente fluttuante a “occhi chiusi”, come lui stesso afferma nella frase che apre le sezioni fotografiche.
Sabrina Zanier
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